L’una di notte è passata da un pezzo e io giro ancora senza meta tra camera e cucina. Ho spento due volte il computer convinta che la giornata di oggi sia stata già abbastanza pesante per apprestarmi a scrivere testi per il nostro piccolo blog. Altrettante volte il pc è stato riavviato. Sono giorni che rimando questo momento, ma tutte le sere che rinuncio ad abbozzare due righe mi corico con un immenso peso dentro. Mi sveglio all’improvviso e non riesco a riaddormentarmi. Le lacrime scorrono senza volerlo , non riesco a gestire il dolore represso ed è come se dovessi farlo perché l’ho imposto a me stessa.
Ho sempre avuto bisogno di condividere e così farò un’altra volta: penso anche che io abbia davvero bisogno di esternare questo dolore ancora una volta, sperando di riuscire poi ad aggrapparmi ai ricordi belli senza sensi di colpa.
Quasi un anno fa ho vissuto la mezz'ora più difficile terribile della mia vita. Un incidente. E ancora continuo a ripercorrere le scene che vivide passano per la mente, in cerca di soluzioni per evitare il disastro... ma so bene, quello che è successo, è irreparabile.
Sono le 14.00 di una domenica di fine marzo, dopo aver piovuto per giorni finalmente il sole si fa vedere. Io ed Anita decidiamo di portare a spasso i cani, lei in tenuta sportiva, io già in abitino nero di Intimissimi (ma in scarpe da ginnastica) , preparata per lavorare in negozio. Avrei iniziato per le tre.
Abbiamo una mezzoretta scarsa per far il giro dell’isolato e io cinque minuti per chiudere i cani dentro casa e infilare le ballerine. Al nostro rientro saluto e ringrazio Anita per l’immancabile compagnia e lego Eva al cavetto di acciaio davanti casa.
Faccio rientrare Eden & Kody e salgo al piano superiore per prendere le scarpe, ma non faccio in tempo: Eva abbaia contrariata. Scendo giù dai gradini al volo e noto la porta di ingresso spalancata, evidentemente era chiusa male... i cani non ci sono più. Non riesco a pensare a nient’altro: "questa svista mi costerà un ritardo a lavoro". Poco piacevole dato l’imminente rinnovo di contratto. Salgo in macchina mentre telefono ad Anita per chiederle una mano e inizio a chiamare a gran voce i cani dal finestrino abbassato: Anita arriva subito (abita di fronte a me) e la invito ad andare in direzione del Monte, mentre io attraverso la provinciale che mi porta al fiume. Kody & Eden non sono soliti uscire soli, ma sono Siberian Husky, ogni svista costa cara. Faccio due volte il presunto percorso che i cani avrebbero potuto fare: ma se fossero stati nei paraggi, entrambi si sarebbero fatti vedere. Ritorno nei pressi del semaforo e poi parcheggio davanti casa: Eva è veramente furibonda. Vedo venirmi incontro Anita : “uno c’è”. In quel momento avrebbe potuto anche dirmi che erano sani e salvi, ma il suo viso non riusciva a trattenere il dolore che cercava di celare. Era chiaro chi era. “Vivo?”, domando. Non segue risposta. Riattraverso l’incrocio e visualizzo che anche 30 secondi prima al semaforo c’erano 3 persone ferme sul marciapiede. Trovo Kody inerme poggiato ai loro piedi. Domando alle persone se ha fatto danni a qualche auto, è assicurato, mi dicono di no. (Ora che ci penso, subito dopo la mia discesa delle scale di casa ho sentito un clacson) La coppia presente mi illustra l’incidente, anche se in realtà non penso di averglielo chiesto; un ragazzo molto gentile mi offre una mano per caricare Kody in auto.. “pesa solo 19 kg, grazie lo stesso”. Mi spaventa un po’ la lucidità con cui ho disteso in autonomia il telo in macchina e ho caricato il mio cane nel bagagliaio. Ringrazio comunque quel ragazzino che non ho più rivisto, per il tentativo di voler alleggerire una sofferenza che ancora non avevo realizzato. Sgancio il collare nero, poggio la testina leggermente macchiata di sangue e chiudo il bagagliaio. Riprendo in mano il telefono imprecando dentro di me per quella maledetta porta che non si è mai chiusa bene e chiamo lavoro : “ Kody è morto, non posso venire oggi”. Ho dovuto ripeterlo tre volte alle mie colleghe. Subito dopo chiamo Giada e prego risponda: lo fa. Un attimo dopo sono a casa e telefono a mio fratello Andrea per cercare Eden. Ho ripetuto a Giada due volte dell’incidente. Inutile dire che non si sarebbe mai aspettata una telefonata di questo tipo.
Ora, scrivendo, mio fratello scoprirà che la veterinaria non è venuta quel giorno a ritirare il corpo del mio piccolo nero, bensì il giorno dopo sono stata io a portare Kody in studio veterinario; infatti prima dell’arrivo di Andrea, ho poggiato Kody in garage, avvolto nel suo telo e l’ho coperto da un cumulo di sacchi di pellets. Andrea non poteva vederlo cosi. Io non volevo.
Accorrono tutti, subito si aggiungono Debora, la figlia di Anita, mia mamma e non ricordo chi altri. In soggiorno, con Eva che elemosina carezze, Andrea batte i pugni sul tavolo disperato. Io non piango, ma avrei voluto riuscire a farlo. Cerco di stare calma anche perché siamo davvero troppi per un soggiorno così piccolo: provo a chiedere di dividerci le zone per cercare Eden, ma Andrea manda sonoramente tutti a quel paese, monta in macchina e se ne va. Dico : “Eden manca. Ma tornerà. Non è possibile perdere due cani lo stesso giorno. Potremmo pure stare qua ad aspettarla. Lei tornerà da sola.” Cercavo inutilmente di stemperare e già pensavo a come avrei potuto immaginare la seguente ora senza Kody, una volta rientrata Eden. Penso siano passati si e no 6 o 7 minuti, la solita frenata “sportiva” e si apre la porta di casa “EDEN!!!” , urliamo in coro. “Riprenditi il tuo cane, era a far merenda da un contadino, ma Kody non c’è più”.. Grazie Andrea. Se ne vanno piano piano tutti… avrei voluto restare sola, ma Giada mi obbliga ad andare a casa sua. E’ stata una delle cose più belle che avesse mai potuto propormi.
Non ci sono molte altre cose da aggiungere.. o forse sì. Se ne va Kody e io inizio a sentire un vuoto pazzesco, indescrivibile. Mi sento in dovere di chiamare Arianna, lo aveva visto crescere e si può dire cresciuto. Non avviso nessun altro. Inutile. Inizia un tam tam di solidarietà e vero affetto da parte di tantissime persone. Sorrido. L’ho pensato e detto tante volte “Kody era più famoso del più famoso cane da expo di tutti i tempi” . Ecco, ho raccontato ancora una volta questa storia. Però a differenza delle volte passate ora posso lasciare scendere una lacrima.. più d’una. Perché penso di non essere mai riuscita a piangere davanti a nessuno.
E’ passato quasi un anno. Non posso dire che il dolore passa, perché non è vero. Non posso nemmeno dire che mi sento come quel giorno, perché non so spiegare cosa ho provato quella domenica.
So solo che Kody manca tantissimo. Era un amico, un compagno di avventure, un dannatissimo cane agitato che desiderava talmente tanto correre che non ha guardato niente ed ha attraversato senza pensare ad altro se non a correre.
E allora corri Kody, ora sei libero.