Libertà per un husky... in un terreno privo di confini capaci di contenerlo.
Chi non ha pensato almeno una volta “vorrei liberarti ma… posso fidarmi?” oppure, dopo aver sganciato il moschettone del guinzaglio è rimasto con il cuore in gola vedendo il proprio cane lanciato a tutta birra fino a perdere di vista quel puntino ormai lontano?
Non è affatto semplice parlare di libertà quando ci riferiamo ai nostri amici Siberian e ieri, chiacchierando con un’amica mi ha confidato che lei non le libera perché… non si fida. Ci penso un momento. Io mi fido? E mi rispondo: dipende. Prima di tutto, come sempre, piuttosto che consigliare, vi riporto la mia esperienza e sarete voi a riflettere se il vostro husky può essere liberato o meno.
La mia idea di libertà non è il campetto recintato, questo è prenderci in giro, il nostro cane sa benissimo di essere libero per finta, quindi non mi affanno mai a insegnare a un mio cane il “richiamo” in uno spazio delimitato, i cani non sono scemi e un ottimo richiamo durante una lezione di educazione non è di per sé una garanzia di sicurezza in un contesto più ampio e in assenza di barriere... son cose da “pastoristi” suvvia! Osservandoli, i cani mi hanno insegnato che conoscono perfettamente i confini e soprattutto hanno bene la percezione di quali siano i punti di accesso (cancelli, pertugi).
Non a caso possiamo notare che in genere appena sguinzagliati in un’area delimitata fanno il giro di tutto il perimetro, perciò non mi sento di dedurre che se un cane ha un “ottimo richiamo” in campo scuola allora sarà per forza un cane di cui io mi possa fidare. Secondariamente una riflessione va agli stimoli esterni: il parchetto frequentato, è conosciuto e solitamente l’aspettativa è di incontrare altri cani o di concentrarsi su un’attività sportiva o di apprendimento (agility, educazione ecc. ecc.). Ma la libertà, secondo voi, ha uno schema da seguire? Quanto mondo nuovo può esserci oltre quella recinzione, quell’albero, fuori dal sentiero, sotto quel masso? Io credo che se decidiamo di sganciare il moschettone dal collare dobbiamo essere consci del fatto che là fuori tutto merita essere scoperto e liberando il nostro cane sappiamo che potenzialmente potremmo non averlo accanto a noi, anzi, di certo (d’altronde cosa lo abbiamo liberato a fare se lo vogliamo accanto a noi?).
La libertà per i nostri amici è un terreno privo di confini capaci di contenerli, ciò implica per forza dover affrontare il tema della fiducia. La fiducia che il proprietario ripone nel proprio cane, ma anche, al contrario, quella che il cane ripone nel suo umano.
Il rapporto tra i due, il branco e la relazione che si instaura tra essere umano e il proprio amico a quattro zampe, creano un legame fatto di un filo sottile d’intesa, che non sempre è rappresentato dal guinzaglio. Quindi libertà senza regole né comandi? No, non direi, se io chiamo il mio cane perché è ora di tornare lui deve venire da me e io devo essere in grado riagganciarlo senza fatiche… perché questa è l’unica richiesta che gli faccio: io decido fino a quando tu puoi essere libero. Questo mi risolve un po’ tutte le incognite come ad esempio la gestione di un incontro con un cane libero…o anche legato. Mi chiedono spesso se noi liberiamo i nostri cani… alcuni si, altri no. “Arriverai a liberare anche lei?” indicando Anja “no, non credo lo farò mai”. Non è questione di controllo, a questo punto nemmeno di relazione, perché Anja, come la gemella Nikita sa essere molto affidabile se concentrata su un compito, ma se parliamo di predatorio non sa resistere e non conosce i propri limiti. Ve lo spiego meglio con un racconto di qualche anno fa. Ero a camminare sul Carso, con la cara amica Anita e i cani di allora: Kody, Eden ed Eva cucciolina. Siamo diversi chilometri lontani dalla stradina di paese dove abbiamo lasciato l’auto e decidiamo di liberare Eden; non è periodo di caccia, non c’è pericolo di processionarie, il territorio lo conosciamo bene e così pure gli orari di altri appassionati del bellissimo territorio carsolino, dunque: libertà! Eden si lancia in corse entusiaste, sbuca da ogni parte gioiosa per condividere la spensieratezza del momento, invita gli altri cani a correre con lei, ulula ad Anita in segno di riconoscenza, i nostri cuori sorridono, abbiamo fatto felice Eden! Ad un tratto fa una virata improvvisa e si lancia nella vegetazione: una lepre. Lei corre e la lepre di più, io penso “persa” ma continuo a camminare... chiamo una volta. Eden non la può raggiungere, è troppo veloce ed infatti, dopo pochi lunghissimi minuti ritorna un po’ affannata, ma soddisfatta del tentativo di caccia. Avrei dovuto sgridarla? Era da biasimare? Certo che no, lei ha seguito il suo istinto perché io gliene ho dato l’opportunità: avrei dovuto lasciarla libera e chiederle di stare al piede? Nemmeno. Al massimo avrei potuto pretendere di averla davanti a me lungo il sentiero ma lei era totalmente collegata e in relazione con me anche quando si inoltrava nella vegetazione che ritornava a chiamarci con un sorriso giulivo. Il punto è che Eden si è resa benissimo conto (e io ne ero assolutamente certa) che non può raggiungere un selvatico in fuga e la sua caccia ludica è diventata semplicemente un’esperienza divertente non pericolosa perché conoscevo perfettamente il territorio collinare privo di pericoli naturali o artificiali. Tornando alla domanda che mi è stata fatta per Anja penso che lei non avrebbe mai, nemmeno dopo 30 km di corsa concepito di non poter riuscire.Anja non conosce né il concetto di limite né quello di pericolo.
Per trarre le conclusioni, mi sento di dire che la scelta di dare fiducia al proprio amico Siberian è personale, dovuta alla relazione che si ha con il proprio cane, alla maturità del rapporto, a quanto conosco i limiti del mio cane in fatto di predazione e quanto sicuro è il luogo dove decidiamo di dargli spazio. Per me, almeno una volta arriva il momento giusto quello in cui vale la pena provare! Marta